Le Costituzioni possono seguire due prospettive diverse: da un lato, adottare un impianto "maieutico", educativo, con norme fondamentali pensate avendo in mente una prospettiva evolutiva e trascendendo dalla realtà presente; dall'altro, disegnare un'architettura istituzionale che si poggi sulle risorse culturali, sociali, politiche disponibili nel momento fondativo. Nel dibattito in corso sulla revisione della Costituzione, la preferenza per l'una o l'altra opzione dipende da una diversa valutazione dei caratteri originari del nostro sistema politico e del peso che questi caratteri tuttora hanno nel determinare gli orientamenti e le opinioni dei cittadini in merito ai principi cardine di un sistema democratico. Chi segue la prima strada dà per acquisiti una serie di valori tipici e "costituivi" delle democrazie consolidate, o comunque pone grande fiducia nella forza educativa delle istituzioni; chi adotta la seconda, tiene conto dello scarso radicamento e della fragilità di quei valori.
In sostanza, il vero discrimine passa tra chi vede la società italiana come frammentata, divisa, faziosa, chiusa e quindi cerca correttivi affinché questi handicap non creino ulteriori "affaticamenti" sulle istituzioni, e chi invece ne prescinde, o addirittura ha una visione positiva e punta sui suoi aspetti moderni. Chi ha ragione? Basta intendersi su quali siano i tratti caratterizzanti della nostra società, tenendo presente che siamo già stati preda di un abbaglio nel decennio scorso.
Quando venne modificato il sistema elettorale in senso maggioritario, nell'ormai lontano 1993, prevaleva un clima di grande ottimismo sulla "maturità" dell'opinione pubblica italiana. Grazie al voto per candidati e non più per liste di partito si sarebbe avviata naturaliter la selezione dei migliori: tutti avrebbero votato "razionalmente" sulla base delle qualità e delle proposte dei candidati, indipendentemente dalle indicazioni dei partiti. Sappiamo com'è andata. Un esito prevedibile se si fosse puntata l'attenzione sulla vischiosità delle logiche che determinavano - e determinano tuttora - il comportamento elettorale laddove le emozioni e gli interessi, la tradizione e l'identificazione ideale con un partito, i rapporti clientelari e la logica dello scambio, giocano un ruolo ben superiore rispetto alla valutazione asettica dei candidati.
Per lo stesso motivo, il metter oggi mano alla Costituzione, a prescindere dalla cultura politica prevalente, rischia di produrre effetti imprevisti o indesiderati.
Le analisi condotte negli ultimi anni sulla cultura politica concordano su un dato: il familismo continua a essere la stella polare che orienta gli atteggiamenti degli italiani. Il familismo - che è una degenerazione del valore della famiglia - esprime una chiusura rispetto all'esterno, che, a sua volta, favorisce spirito di fazione e ostilità rispetto agli altri. Ne consegue che la difesa del particolare prevale su un ottica universalista, che lo spazio pubblico viene concepito come res nullius, che le azioni collettive sono adottate solo in un'ottica di beneficio individuale, che lo spirito di gruppo si perverte in vitalità del branco. La dimensione collettiva, cooperativa, che favorisce lo sviluppo del capitale sociale, cioè della fiducia reciproca tra gruppi e individui, è minata dalla persistenza del familismo e del particolarismo. Se questo è vero, allora ogni intervento sulle regole del gioco che fin qui, bene o male, ci hanno preservato dalle cadute negli inferi peronisti - da quelli comunisti ci pensavano l'America e la Nato - va dosato con cautela per evitare di aprire il vaso di Pandora.
La sovreccitazione continua del dibattito politico da quasi quindici anni a questa parte riflette una società divisa, una cultura politica dell'antagonismo e del particolare, una debole fiducia reciproca e un ridotto capitale sociale. È a partire da questi dati, forse spiacevoli ma reali, che bisogna calibrare gli interventi. Senza illudersi di avere a disposizione una società perfetta. Ma, allo stesso tempo, senza rimanere ad attendere dal cielo un'illuminazione.
Un'istruzione più rigorosa, un'informazione più sobria, un'idealizzazione di modelli positivi (più Levi Montalcini che veline), una valorizzazione della cultura e una rivalutazione dello spazio pubblico e dell'agorà sono tutti mattoni possibili e realistici per consolidare la casa comune degli italiani.